CARINOLA E IL SECOLO DELL’ERA CATALANA
Occorre dire che la vicenda artistica di Carinola si svolge prevalentemente a cavallo tra il XV e il XVI secolo, vivendo in pieno tutte le contraddizioni proprie di quella fase di passaggio che si pone tra il gotico fiorito e gli inizi del Rinascimento. Tale vicenda artistica e architettonica fu la chiara conseguenza dell’essere stata Carinola, in quell’epoca, pienamente partecipe di quella forte spinta di rinnovamento culturale determinata, a Napoli, dall’ascesa al trono di Alfonso V di Aragona e dall’avvento degli aragonesi. Questo fatto storico fece sì che Carinola fosse sfiorata prima e poi coinvolta da quel nuovo clima culturale fiorito, a Napoli, proprio intorno alla corte aragonese.
Diversi furono i fattori che determinarono questo stato di cose; probabilmente Carinola dovette la propria fortuna alla sua felice condizione climatica ed ambientale; pare, infatti, che lo stesso re Alfonso V d’Aragona ne facesse un luogo abituale di visita (ma in questo caso manchiamo di riscontri sicuri ed è saggio e opportuno soprassedere in congetture vaghe!); molto più logico e proficuo è invece sottolineare che fu determinante per Carinola la posizione strategica da essa occupata: controllava infatti, insieme a Sessa, la via d’accesso alla capitale, in una posizione intermedia tra il confine settentrionale del Regno di Napoli e Capua, ultima vera piazzaforte militare.
Carinola, dunque, costituiva, nell’ambito della geografia politica del Regno, un feudo chiave; la sua poszione strategica è d’altra parte testimoniata dalla battaglia che nei primi decenni del Quattrocento si combatté tra angioini e aragonesi proprio a Carinola (parrebbe nella frazione di Casanova) e la sua importanza politica era ancor più accresciuta dal particolare momento storico che si attraversava.
Prima di questo momento, però, Napoli e le realtà che le ruotavano intorno, tra cui Carinola, avevano già avuto significativi contatti con il mondo catalano in particolare e con quello iberico in generale, ed erano state lambite, insieme a pochi altri centri dell’Italia meridionale, da quella cultura mediterranea, da quella circolazione di idee che si era sviluppata e radicata tra tutti gli stati costieri.
In un primo momento, tuttavia, Carinola fu solo lievemente toccata da questi contatti; infatti, la storia di Carinola era stata, fino all’avvento degli aragonesi, quella di un piccolo feudo dedito ad una economia prevalentemente rurale e la cui vicenda artistica si era forgiata sino ad allora su sporadici episodi di arte romanica, sporadici e tuttavia importantissimi se si pensa alla perla dell’Episcopio, collegati, per lo più, ad un tipo di architettura religiosa. XXX
A questo punto mi sembra necessario rimarcare il fatto che tale epoca resta certo la meno esplorata e la più ricca di incognite; quanto in questo periodo si è prodotto, infatti, è stato profondamente alterato, se non addirittura dimenticato e cancellato, dall’imponente sviluppo urbanistico e architettonico che investì Carinola a partire dalla metà del XV secolo. Poco infatti resta dell’antico castello, eretto, forse, in epoca normanna, probabilmente intorno alla prima metà del XII secolo; mentre la Cattedrale, la cui data pare più certa, eretta sul finire dell’XI secolo, serba ormai poche testimonianze del suo impianto originario.
Plausibile è l’ipotesi che la Carinola medioevale dovette articolarsi proprio intorno a questi due poli, sviluppandosi prima nella parte meridionale, che appare la più antica, per poi estendersi verso nord, nella parte più elevata, occupata dal castello; disegnando così un impianto urbanistico che parrebbe essere stato molto compatto e lineare, assecondato verosimilmente da quella che doveva essere una cinta muraria che forse seguiva il favorevole andamento del suolo.

A proposito del fondamentale e decisivo incontro di Carinola con il mondo catalano, trovo giusto soffermarmi su questo momento lasciandovi ancora qualche riga di parole. Sembra infatti che, nel Quindicesimo secolo, il matrimonio tra Marino Marzano, duca di Sessa (al cui territorio era annessa anche la piccola contea di Carinola) ed Eleonora, figlia naturale del Re Alfonso d’Aragona, che rientrava in una stereotipata e funzionale politica di sciatte alleanze coniugali, determinasse una svolta fondamentale per Carinola; infatti, a partire da questo momento, in pochi anni, il piccolo centro campano vedrà mutare radicalmente il proprio aspetto urbanistico e architettonico: molti artisti catalani, architetti e scultori, affluirono a Carinola ininterrottamente; a tal proposito si parla proprio di Guillem Sagrera, e del figlio Jaime, di Gil de Luna, di Matteo Forcymanya ed altri ancora.
E’ giusto sottolineare tuttavia che il mutamento subito da Carinola è stato molto più profondo: esso, non si lega alle vicende di questa o di quella famiglia, ma tocca, modificandolo, lo stesso tessuto socio-economico. Così, mentre nella breve e intensa era aragonese si succedono le varie famiglie e Carinola passa, nel volgere di un sessantennio, dalla signoria dei Marzano a quella dei Petrucci, dei Borgia e dei Cordova, si assiste, sul territorio, ad un gran sorgere di nuove costruzioni, un fiorire continuo, per ogni dove, di finestre, portali, loggiati, che assecondano il nuovo gusto artistico. Insomma, Carinola si trova proiettata in una nuova dimensione, che ne segnerà profondamente l’aspetto, destinato a conservarsi nel corso dei secoli.
Sorgono così, ai margini del territorio urbano, mi limito a farne cenno, la splendida fabbrica di palazzo Marzano, andato in gran parte distrutto durante la seconda guerra mondiale. Tale splendida fabbrica, tuttavia ha conservato pressoché integro il patio, al cui interno, comunque, gli elementi connotativi dell’arte catalana, sono ancora ampiamente riscontrabili, elementi presenti anche sullo scalone d’onore e in alcuni significativi particolari del primo piano. Ancora da rilevare, proprio di fronte casa Marzano, che una splendida finestra catalana sormontata dalle armi aragonesi di Durazzo, ora purtroppo scomparsa, sembra facesse parte di quel palazzo Parascandolo, anche esso scomparso, che un tempo, probabilmente, era stata la residenza di Alfonso V per le sue presunte visite e soste a Carinola. Per completare questo breve indugiare sulla Carinola Quattrocentesca è impossibile tacere dell’importantissimo palazzo Novelli, già palazzo Petrucci, cognome di Antonello, coinvolto nella “congiura dei baroni” che ne causò la condanna e la fine. Tale importante palazzo, sito al centro del paese, domina l’attuale piazza Mazza.
Già esistente al tempo dell’edificazione di casa Marzano, questo fondamentale edificio subì nella seconda metà del Quattrocento, ad opera di architetti e scultori catalani, un profondo intervento di ristrutturazione, che, oltre alla decorazione delle famose finestre che lo hanno reso celebre, portò ad una più completa risistemazione dell’intero stabile. Quindi, sorte molto diversa la sorte di palazzo Novelli rispetto a quella di palazzo Marzano, ormai ridotto a poco più che un rudere; palazzo Novelli ancora oggi con i suoi ampi saloni e la sua articolata struttura architettonica si pone al centro della vita pubblica e politica di Carinola.
Per questi motivi, e per molto altro, lo storico dell’arte e accademico, il modenese senatore del Regno Adolfo Venturi, lo scorso secolo, ritrovando in Carinola, pressoché integri quei caratteri peculiari conferiti al piccolo centro campano dall’opera dei Maestri catalani e celati sino ad allora solo dall’oblio del tempo, coniò per Carinola l’epiteto, rimasto famoso, di “Pompei del Quattrocento”.
Quella del Venturi era stata certo una scoperta di enorme importanza: Carinola finalmente, dopo tanti secoli, emergeva dal suo passato fatto di silenzio, di dimenticanza e di ignoranza, uguale come vi si era immersa. Ma se Carinola poté associare il proprio nome a quello ben più famoso di Pompei, per la singolarità della sua vicenda storica, per il suo oscuramento, per le modalità della sua scoperta e per la ricchezza del proprio patrimonio, ben presto se ne distaccò a causa della sorte avversa, che, di lì a pochi anni, l’avrebbe travolta. Infatti, le distruzioni apportate dal secondo conflitto mondiale ne alterarono profondamente l’aspetto originario, causando la distruzione di gran parte di casa Marzano e del castello, ed intaccando la stessa struttura urbanistica (l’attuale piazza Mazza, infatti, estranea al tessuto urbano originario, fu la diretta conseguenza dell’abbattimento, nel dopoguerra, di palazzo Aceti che vi si ergeva).
Tuttavia, non tutto era andato perduto; infatti, nonostante le distruzioni e le rovine causate dalla guerra, cessato il conflitto, il paesaggio di Carinola era ancora in grado di suscitare grande interesse e sorpresa a chi lo osservava con occhio attento; interesse e sorpresa che ritroviamo anche nelle parole dell’archeologo Amedeo Maiuri, che visitò Carinola intorno agli anni ’50 del Novecento. Tale meraviglia la si trova anche nelle testimonianze di altri importanti visitatori che conobbero la stessa buona ventura, proprio quella di ritrovare nella Carinola del dopoguerra tracce significative della piccola città catalana scoperta dal Venturi. Ma il degrado progressivo, dovuto per lo più all’incuria umana, ha reso sempre più sbiadite e irriconoscibili tali tracce.

Dopo essermi brevemente soffermato e aver indugiato sulla terra dove, nel silenzio e nel buio dei secoli, era nato e germogliato l’Episcopio, è bene che ora ne parli più accortamente e piano per quanto ne sia capace.

L’Episcopio, sito ai margini del comune di Carinola, nella piccola frazione di Ventaroli – luogo dell’antico Forum Claudii – rappresenta una delle espressioni artistiche più felici della Carinola alto medioevale e medioevale, ancora pienamente fruibile.
Il nome di Episcopio, che, nella tradizione locale, da sempre, si è sovrapposto a quello di Santa Maria in Foro Claudio (più incerto resta quello di Santa Maria di Valle d’Oro), trae origine dalle proprie vicende storiche. Oltrepassando l’ipotesi più che concreta di evidenze ellenistiche della struttura originaria (potrebbe trattarsi di un tempio), occorre dire che per un lungo arco di tempo, probabilmente dal sesto secolo, l’Episcopio fu sede vescovile, e tale rimase fino al 1099, anno in cui, completata la costruzione della nuova cattedrale nella vicina Carinola, si ebbe, ad opera del vescovo Bernardo, il trasferimento della sede vescovile.
Sorta probabilmente proprio intorno al V-VI secolo, collocandosi in una incerta e vacillante era paleocristiana, la basilica fu ricostruita nella seconda metà dell’XI secolo, sullo stesso sito occupato dalla precedente costruzione, vale a dire quella paleocristiana, di cui si ignorano epoca precisa e funzione. In ogni caso, tali lavori di ricostruzione dovettero, verosimilmente, essere intrapresi molto prima del 1087, anno in cui San Bernardo divenne vescovo, poiché è da escludere che, iniziati i lavori per la costruzione della nuova cattedrale a Carinola, si procedesse contemporaneamente al rifacimento dell’Episcopio a Ventaroli.
Nel corso del Quattrocento, poi, l’edificio subì una nuova serie di lavori, durante i quali fu completamente modificata la facciata anteriore, con l’inserimento di un nuovo portale, e ridisegnata quella posteriore. Tali lavori sono testimoniati all’interno dalla presenza di affreschi, risalenti proprio al XV secolo.
Indugiando ancora brevemente sulla struttura della fabbrica, non è da escludere del tutto l’ipotesi che anticamente, alle origini, si accedesse all’interno dell’antica basilica attraverso un pronao; infatti tracce riscontrabili nella struttura muraria della facciata, avvalorerebbero proprio questa tesi.
Tuttavia, al di là delle vicende storiche, è opportuno sottolineare la grande vitalità che l’Episcopio seppe conservare anche nei secoli successivi al trasferimento della sede vescovile ed alla perdita della propria centralità religiosa, vitalità testimoniata, del resto, dalla diversa datazione degli affreschi presenti all’interno della chiesa (datazione che copre un vasto arco di tempo, dal X al XVI secolo ca.), e dai lavori di ristrutturazione che, ancora nel Quattrocento, interessarono la basilica.
Oggi l’edificio, con muratura portante in tufo grigio locale, è improntato ad una estrema semplicità di linee; esso presenta una facciata caratterizzata da un elegante portale rinascimentale, che riecheggia tendenze romaniche, al di sopra del quale si aprono due bifore sovrapposte. Il pavimento, a riprova delle sue origini molto risalenti nel tempo, è sottoposto rispetto al livello del piazzale d’ingresso e, quindi, l’accesso avviene mediante la discesa di cinque gradini.
Nel 2000 ca. vi furono importantissimi e fondamentali interventi ad opera della Soprintendenza di Caserta e di quella per i Beni Architettonici, Artistici e Storici di Caserta e Benevento che ovviarono a non pochi problemi, come quello di grave e diffusa umidità, che affliggevano e incrinavano la conservazione della struttura inficiando anche i preziosi affreschi medievali e rinascimentali presenti al suo interno.
In ultimo occorre ancora dire che nel ‘2009, all’ingresso della preziosa struttura, antistante proprio il portale, attraverso una operazione di scavo, fu rinvenuto un prezioso Fonte Battesimale. Il buio dell’insipienza però ha travolto e occultato questo importantissimo ritrovamento. Non a caso ho parlato di “buio” poiché la becera burocrazia non ha saputo far di meglio che interrare di nuovo quanto portato alla luce e sulla cosa cali l’oblio, come detto, il “buio” dell’insipienza burocratica.

Tornando alla struttura dell’Episcopio, occorre dire che l’interno è a tre navate con altrettante absidi a forma semicircolare, che, all’esterno, presentano un caratteristico disegno di archi su lesene. Due file di sette colonne di spoglio monolitiche, con capitelli corinzi, che reggono archi a sesto leggermente rialzato, dividono la navata principale, con copertura a due falde sorrette da capriate in legno, da quelle laterali, con tetto a una falda. L’ambiente centrale è illuminato da una serie di quattro monofore poste su entrambi i lati lunghi e da una bifora sovrastante il portale d’ingresso; dei due ambienti laterali, invece, solo quello di sinistra presenta delle piccole aperture.

AFFRESCHI

L’Episcopio, tuttavia, deve molto della sua notorietà ai diversi brani d’affresco ancora presenti al suo interno. In origine, probabilmente, sia le pareti che le absidi erano interamente affrescate; purtroppo, ai nostri giorni, di quelle testimonianze restano solo poche ma significative e preziose tracce.
Tali affreschi superstiti, soprattutto quelli presenti nella zona absidale, sono stati, sin dal secolo scorso, oggetto di numerosi e approfonditi studi, che ne hanno più volte sottolineato sia l’importanza storica che il grande pregio artistico.
In essi appare predominante l’elemento bizantino, se pur variamente mediato da culture ed atteggiamenti locali d’età varia con influssi gotici fino forse al rinascimento.
Degli affreschi che si trovano nella zona absidale, quello raffigurante la Madonna in trono con il Bambino tra un arcangelo e San Pietro, presente sull’absidiola di sinistra, e quelli un tempo presenti sull’arco absidale (dei quali ci resta oggi un interessante frammento raffigurante un angelo, esposto presso il museo del Territorio di Caserta), molto probabilmente risalgono all’XI secolo, e verosimilmente sono di poco posteriori alla ricostruzione, risalente a quel tempo, della basilica. Alla stessa epoca, inoltre, si può far risalire una figura identificabile con l’evangelista Giovanni, presente sul pennacchio di destra, al di sopra dell’arco absidale, a cui, probabilmente, doveva corrispondere, sul pennacchio di sinistra, l’altro Giovanni, il Battista, del quale restano labili tracce. Gli affreschi, invece, presenti sull’abside mediana, che maggiormente hanno destato l’attenzione degli studiosi, e l’interessante affresco, gravemente danneggiato, incentrato intorno alla figura dell’arcangelo Michele, presente sull’absidiola di destra, sono databili tra la fine del XII secolo e gli inizi del XIII. A proposito di questi ultimi, l’affresco presente sul catino e raffigurante la Madonna con Bambino seduta tra due Arcangeli incensanti, appare chiara espressione del conservatorismo della pittura campana, il che, traendo in errore, ha fatto sovente retrodatare tale affresco all’VIII, IX decennio dell’XI secolo, del quale, comunque, a distanza di un secolo circa, ripropone le medesime formulazioni stilistiche e presenta analoghe soluzioni estetiche. Di poco posteriori a questi ultimi sono da ritenersi le figure frontali di santi presenti su di un intercolumnio posto a sinistra della navata centrale. Un frammento di affresco, infine, raffigurante la testa della Madonna e del Bambino, presente su di una parete contigua alla concavità absidale, avrebbe una datazione molto più alta rispetto ai precedenti, risalendo, molto probabilmente, al IX, X secolo. Di notevole interesse storico, ma di minore spessore artistico, sono gli affreschi post-duecenteschi ancora presenti sulle pareti laterali della chiesa; tra questi: un S. Leonardo (ma non è del tutto da escludere l’ipotesi che possa trattarsi anche di un S. Bernardino), posto subito a destra dell’ingresso; una Madonna con Bambino fra i Santi Nicola e Bernardo, affresco quattrocentesco di autori locali; un’interessante rappresentazione di mestieri; eccetera.

EPISCOPIO OGGI
Nella seconda metà del Ventesimo secolo la Basilica di Foro Claudio (Forum Claudii) è stata sottoposta ad una profonda serie di lavori di restauro, resi urgenti e indilazionabili dai gravissimi danni provocati oltre che dall’incuria anche dall’umidità che affliggeva l’edificio a causa delle non lievi infiltrazioni d’acqua.
Tali lavori avvenuti sotto l’alta sorveglianza sia della Soprintendenza di Caserta che della Soprintendenza per i Beni Architettonici, Artistici e Storici di Caserta e Benevento, hanno avuto ad oggetto più in generale il restauro dell’edificio con riguardo in particolare alla struttura muraria, alla stabilità delle colonne, alle capriate del tetto, ai preziosissimi affreschi e brani d’affresco.
Ad oggi, finalmente la chiesa è stata riaperta al culto, il che avviene tuttavia raramente e solo per celebrarvi alcune cerimonie.

Dimitri Maria Pierri