Parlare di Matteo Renzi non è cosa semplice. Occorrerebbe anzitutto chiarire prima di chi si stia parlando; quale dei diversi Renzi vogliamo analizzare? Quello, ad esempio, che fa nascere il Conte-bis oppure quello che lo distrugge? E poi, anche se ce ne

fosse uno solo, sembra difficile fissare con precisione i suoi obiettivi razionali, la tattica, la strategia della sua azione politica. Eppure all’inizio della sua carriera, prima da presidente della provincia e poi da sindaco di Firenze, tutto sembrava più chiaro: egli si presentava come il leader rottamatore della vecchia sinistra, il modernizzatore delle vecchie e non più attuali modalità di gestione della cosa pubblica, dopo l’avvento della globalizzazione e dei social, dopo gli improvvisi sconvolgimenti del mercato del lavoro. Le vecchie parole d’ordine della socialdemocrazia e della sinistra riformista andavano riformate, sostituite da nuovi linguaggi e nuovi progetti, se volevano essere comprese da quel mondo che si indicava una volta come il proletariato, ma che aveva ormai cambiato sembianze e non abitava più, nelle sue vecchie forme, il mondo occidentale.

Fino a quel punto, Renzi più o meno lo si poteva anche capire. Magari forse ci spiazzava un poco la critica feroce del sindacato, quando sembrava voler buttare a mare i vecchi dirigenti del suo partito, nostalgici e non più attuali, quando voleva a tutti i costi coinvolgere anche l’opposizione nel tentativo di cambiare il paese. Diceva di voler mettere mano a riforme strutturali che dovevano servire a tutti, non solo alla sua parte politica, che l’Italia era antiquata, mummificata, invecchiata. Fino a quel punto, Renzi più o meno, come detto, lo si poteva cercare di capire. Era sicuramente antipatico, borioso, spesso irriguardoso verso vecchie glorie del suo partito, non mediava con i rappresentanti dei lavoratori. Ma, almeno, sembrava avesse le idee chiare, sembrava perseguisse un progetto, sembrava guardasse verso il futuro senza sottomettersi alle tradizionali strategie proprie dei vecchi compromessi della politica.

Era, nel 2014, guardato con fiducia da un numero spaventosamente elevato di italiani, i consensi gli arrivavano da tutte le aree politiche; poi, però, qualcosa ha cominciato ad incrinarsi; ha cominciato ad appalesarsi un ego smisurato che fin lì era stato tenuto ben chiuso; aveva dialogato con Berlusconi, ma poi ha cominciato a litigarci, come se dicesse “io sono autosufficiente, vado avanti per la mia strada, non devo parlare con nessuno, il popolo mi seguirà sempre, è con me, mi capisce, ve ne accorgerete col referendum costituzionale” . Qualcuno, mi sembra di ricordare, cercava di farlo ragionare, lo consigliava di non staccarsi dalla realtà, aveva capito che il mondo di Renzi cominciava a non coincidere più col mondo reale, che il giudizio degli italiani nei suoi confronti stava cambiando. E così fu sonoramente sconfitto nel referendum, fu sconfitto nelle elezioni politiche che seguirono e, dopo avere ottenuto il massimo, portò al minimo storico un partito di centro-sinistra, perse, di conseguenza, la leadership del Partito Democratico; capì, si fermò, si fece da parte? No, lui era comunque il protagonista. Nel PD era ormai in minoranza? Costruì un partito tutto suo (se c’era riuscito Grillo perché mai non doveva riuscirci lui?), con l’obiettivo, forse, di distruggere la sua vecchia casa, di urlare al mondo che lui era il migliore e gli altri contavano poco.

Il resto è storia recente; prima ha favorito l’accordo coi 5 stelle e la nascita del Conte-bis, subito dopo è uscito dal Partito Democratico, senza alcuna ragione logica apparente se non quella, appunto, di sfuggire alla irrilevanza, facendo dimenticare a tutti di essere il capo di un partito del 2% (che sognava, nella sua percezione di onnipotenza di portare al 15) e, in ogni caso, un comprimario in quanto tale destinato all’oblio. E’ stato quindi protagonista di una polemica al giorno verso l’azione di un governo che doveva essere anche il suo, con un perenne atteggiamento di sfida, una continua minaccia, continui ricatti, proposte provocatorie, quotidiani proclami ad uso dei media. Incurante del gradimento sempre più basso, ben lungi dall’offrire una collaborazione fattiva, ha infine propiziato la caduta del “suo” governo .

E negli stessi giorni in cui accoltellava Conte, il nostro utilizzava la parola “Rinascimento” in relazione a una monarchia assoluta, sessista e dispotica. Rinascimento in Arabia Saudita? Un luogo dove il potere riduce all’osso la vita di uomini e soprattutto donne?

Avendo ottenuto il suo obiettivo di inizio anno Renzi è finalmente sparito dai telegiornali da qualche settimana; ma, poiché nel frattempo ha dovuto ingoiare il rospo Letta, lo immaginiamo intento ad elaborare nuove “strategie politiche”; incurante di tutto e, stavolta, in silenzio, Renzi va per la sua strada; quale sia questa strada, dove lo portino ai suoi passi non ci è dato sapere, ma forse non lo sa nemmeno lui; e tuttavia nell’immaginario di chi segue le vicende politiche continuerà sicuramente a vivere il Renzi bifronte, da una parte bulletto di paese che “non sa dove andare, comunque ci va”, dall’altra fine tessitore di strategie ed alleanze che hanno lo scopo di perseguire obiettivi precisi ma, forse, troppo poco nobili per poter essere apertamente espressi.

Ultima maleodorante perla del nostro è stata quella di riuscire a intrufolarsi, insieme a “cani e porci” (ai quali chiedo scusa) nel minestrone Draghi e di Renzi sembra forse svanire il tratto; mai dire mai…

Dimitri Maria Pierri