L’UTOPIA È SOLO QUALCOSA CHE ANCORA NON C’È di NICOLA AURILIO
(Gino Strada, dal suo scritto “Una persona alla volta”)

Lontano è il ’68. Troppo lontano.
Fu l’anno chiave che elevò l’utopia a realtà possibile.

Fu la condanna – finalmente! – dell’ipocrisia perbenista che opacizzava i giorni della vita.

Ma non ne divenne la condanna a morte, perché essa subdola e narcotizzante seppe subito risorgere, come la mitica Araba Fenice: con veste diversa e stessa sostanza e ancora più efficace nel piegare le coscienze e le intelligenze.

Nei giovani allora, in questi paesi alla periferia di ogni mondo, non lo conoscemmo il ‘68 se non molti anni dopo, e solo come un arcobaleno sbiadito che più non illuminava l’orizzonte.

Non trovammo il tesoro sepolta alla sua base. Eravamo giovani senza sapere di esserlo.

Oggi, malinconicamente, lo ricordiamo ascoltandone la colonna sonora: Guccini, I Nomadi e tanti altri gruppi che inventarono un linguaggio nuovo, Claudio Lolli, ormai dimenticato, Ivan Graziani, Joan Baez, Gaber, De André. Gente che cantava la poesia, la speranza, soprattutto l’utopia,

Manifestazioni contro la guerra, il razzismo, la miseria morale e materiale, le disuguaglianze.

L’ingenua e meravigliosa pretesa di sostituire le pallottole con i fiori. E poi la cancellazione di ogni fascismo, sia come ideologia di dominio, che come pratica di sopraffazione.

Tutto cancellato, sconfitto dalle armi potenti di coloro che, incapaci di redimersi, affilarono le loro armi ottenendo una facile vittoria sui sogni di quei giovani belli come il sole.

I figli, i nipoti di quei giovani disarmati furono come lobotomizzati dalle ammalianti sirene che cantavano con voce flautata di una vita migliore, dove tutti sarebbero diventati ricchi e felici, ognuno con diritti e opportunità uguali a quelli di ogni altro.

Promesse che servivano solo a disinnescare le loro pulsioni di libertà, a renderli gregge amente.

Ma gli “altri” continuarono ad essere i figli dei padroni del vapore, quelli che avrebbero ereditato, per una specie di diritto divino, lo scettro del comando.

E così le nuove generazioni obliano la loro sconfitta nella droga, nell’alcol, nel malaffare, nelle lunghe ore di ozio torpido che ne lacera l’anima davanti a un misero bar.

La forza rigeneratrice per contrapporsi ai ras di sempre si esaurì, dopo essere giunta per un istante come brezza marina in un’ora di afa.

Una brezza o. meglio, un’ebbrezza che l’utopia e solo essa, sapeva donare.

Signori, potenti di ogni tempo e latitudine, avete vinto e allora godetevi le vostre ricchezze, consumatevi nell’usura di chi non è mai sazio di dissetarsi al liquore tossico del dio Mercurio, protettore dei ladri.

Ma “l’utopia è solo qualcosa che ancora non c’è”.

Questa speranza, almeno, non la potrete togliere a chi sa ancora sognare.

N. Aurilio

Scritto da:

NICOLA AURILIO

Nicola Aurilio
Nasce a Casale di Carinola, un paese del Casertano, in marzo del 1947. Prima dei cinque anni viene colpito da una grave forma di polio-
mielite, in seguito alla quale
subisce una serie di interventi chirurgici, prima a Bologna e poi a Firenze. Ricomincia a camminare con protesi ortopediche, fin oltre i 50 anni, poi anche questa parziale riabilitazione cessa di avere effetto. Tali condizioni impediscono di andare a scuola e impara a leggere e scrivere da puro autodidatta. Si appassiona molto all'enigmista, in tutte le sue varietà, e presto debutta come autore, con una preferenza per i giochi in versi (enigmi, sciarade, indovinelli, ecc.). Pubblica quattro volumetti di poesia. Collabora a vari periodici enigmistici e non, cura alcuni lavori di altri autori, specialmente in prosa. Con lo pseudonimo di Ilion, riporta moltissimi premi in concorsi enigmistici e alcuni anche in campo poetico.
Per oltre trent'anni gestisce l'unica edicola del suo paese.
Ora dà alle stampe questa sua fatica nel campo sfingico, nata in tre-quattro mesi, che fa seguito a un altro volume edito nel 2000.